Ruggero
da Flor templare e pirata
Nei circa duecento anni di storia dell'Ordine del Tempio, numerose
sono le figure che emergono per valore, morale o militare, oppure
risaltano per la loro incapacità o mancanza di carattere.
Difficile da definire, invece, è quella di Ruggero da Flor.

I detrattori non esitano a definirlo un avventuriero, uomo senza
scrupoli, che con le sue azioni ha gettato discredito sull'intero
Ordine, avvalorando così le accuse di avarizia e cupidigia
formulate contro i Templari. C'è, però, chi vede in
lui il vero spirito guerriero che aveva sempre contraddistinto il
Tempio e che, negli ultimi anni si era andato sempre più affievolendo;
quello stesso spirito che aveva sostenuto Ramon Saguardia, il precettore
del Mas Deu, nel Rossiglione, contro le armate del re di Aragona.
Il suo luogotenente e compagno d'avventure, il catalano Ramon
Muntaner, ha raccontato nella “Cronaca catalana” la vita di
Ruggero da Flor, tracciando il ritratto di un uomo di grande coraggio
e di indole generosa, pronto a dividere i suoi guadagni con i compagni
ed a pagare anticipatamente i suoi soldati.
Ruggero nacque da una nobildonna di Brindisi e da un mastro falconiere
di Federico II, che perse la vita nel 1268 durante la battaglia di
Tagliacozzo. Come scrive Muntaner «quando il piccolo Ruggero
aveva circa otto anni accadde che un gentiluomo, frate converso dell'Ordine
templare, chiamato frate Vassayl, nativo di Marsiglia, comandante
di una nave del Tempio e buon marinaio, venne a passare l'inverno
a Brindisi per stivare la propria nave e farla riarmare in Puglia».
Vassayl ebbe modo di conoscere Ruggero che abitava vicino al porto
con la sua famiglia, caduta in disgrazia dopo la morte del falconiere.
Fu così che, in deroga a quanto prescritto dalla Regola, chiese
alla madre che gli affidasse il figlio per farlo entrare nell'Ordine
del Tempio: la povertà familiare e la serietà del frate
spinsero la nobildonna ad accettare la proposta, segnando per Ruggero
la strada della sua fortuna e, quindi, della sua disgrazia.
L'intelligenza, la buona volontà, e la grande capacità
di apprendimento fecero del giovane un ottimo marinaio: a quindici
anni era il migliore dei mozzi della flotta templare ed a venti,
divenuto frate sergente, veniva considerato il più profondo
conoscitore della marineria di quei tempi; per questo motivo gli
venne affidato il comando della più bella e più moderna
nave templare, il Falco o Falcone del Tempio.
Fu con questa nave che si trovò a San Giovanni d'Acri nel
1291, all'epoca dell'assedio e della conseguente caduta della città.
Durante l'evacuazione della popolazione civile, Ruggero si adoperò
per trasportare, come racconta il suo biografo, «donne e
ragazze, con grandi tesori, e molte persone per bene; le portò
a Mont-Pélerin, e con tale viaggio realizzò enormi
guadagni». Ruggero poi versò tutto il denaro ricavato
nelle casse del Tempio ma i suoi nemici lo denunciarono presso il
gran maestro, accusandolo di aver trattenuto per sé una grande
parte di quanto incassato. Per sfuggire a Jacques de Molay, che voleva
catturarlo, Ruggero portò il Falcone del Tempio a Marsiglia,
per disarmarlo, quindi fuggì a Genova dove alcuni amici gli
prestarono il denaro sufficiente per allestire una galera, l'Olivetta.
Con questa nave Ruggero si recò a Messina per mettersi al
servizio degli Aragonesi, acerrimi nemici di quegli Angioini che,
combattendo Corradino a Tagliacozzo, avevano in qualche modo causato
la morte del padre.
Muore così il templare e nasce il pirata; non muore però
la voglia di combattere una guerra giusta, anche se dietro pagamento.
Ruggero iniziò così un lungo periodo di pirateria
nel Mediterraneo, durante il quale non mancarono da azioni navali
di grande importanza, come la liberazione di Messina assediata dalla
flotta angioina di Ruggero Lauria. La Guerra del Vespro, però
terminò nel 1302, con la pace di Caltabellotta, con la quale
gli Angioini e gli Aragonesi si divisero l'ex regno svevo: ai primi
andò Napoli e l'Italia meridionale, ai secondi rimase la Sicilia.
Un nuovo signore da servire fu trovato nell'imperatore Andronico
II Paleologo, in guerra contro i Turchi; Ruggero tornava così
a combattere gli infedeli, come ai vecchi tempi. Memore delle esperienze
militari del Tempio, organizzò un suo esercito personale,
fedele, ben pagato, disciplinato e soprattutto altamente addestrato.
Nasceva così la prima compagnia di ventura, la Compagnia Catalana,
formata da soldati della Linguadoca, di Navarra, di Castiglia, di
Aragona e Catalogna, questi ultimi meglio conosciuti come "almogaveri”.
Un altro cronista catalano dell'epoca, Bernat Desclot, così
li descriveva «Sono uomini che vivono di venture guerresche,
fuor dell'abitato, sempre pei monti e pei boschi; battonsi dì
e notte coi Saraceni, s'addentrano arditi per le loro terre una o
due giornate, bottinando e strappando loro schiavi e robe e quanto
possono avere, così campano; menano vita aspra e tanto dura
che altri uomini non potriano soffrire, passando talvolta due giorni
senza mangiare, se faccia d'uopo, e cibandosi di erbe selvatiche
senza averne molestia. E gli “adalili” (le guide), che sono loro
condottieri, sono pratici dei paesi e dei sentieri. Vestono soltanto
un giubbone o una camicia, sia state, sia verno; alle gambe cingono
calzari di cuoio strettissimi, uose di cuoio al piede; ed hanno buona
lama pendente, forte cintura stretta alla vita. E hanno tutti una
lancia e due giavellotti e uno zaino di cuoio dove serbano il cibo;
sono poi fortissimi e assai spediti a correre e inquietare il nemico».
La Compagnia Catalana iniziò subito con una azione poco
valorosa, ossia con il massacro dei Genovesi di Costantinopoli, cosa
che però fece grande piacere all'imperatore, stanco della
loro egemonia commerciale; i mercenari passarono poi in Asia Minore
per combattere contro i Selgiuchidi, che vennero sconfitti ad Aulax;
a questa prima vittoria ne seguirono altre, inframmezzate da scorrerie
ed incursioni, successi che alzarono sempre più le quotazioni
di Ruggero: nominato inizialmente “megaduca” dell'impero, divenne
in seguito "cesare”, titolo di competenza imperiale, fino ad
arrivare a sposare Maria, principessa dei Bulgari e nipote dello
stesso imperatore.
Ma questa fortuna, troppa ed improvvisa, in una corte così
corrotta ed infida come quella bizantina, fece nascere gelosia ed
invidia, specialmente in Michele Paleologo, figlio dell'imperatore.
Il principe ereditario, temendo per la sua successione al trono e
stanco dello strapotere di Ruggero, lo invitò ad un banchetto
organizzato ad Adrianopoli: durante il festino Giorgio, guardia personale
di Michele, prese alle spalle Ruggero e lo colpì ripetutamente
a morte. Era il 1305.
La rappresaglia operata dagli Almogaveri alla notizia dell'assassinio
del loro comandante Ruggero da Flor moriva così, per tradimento,
un uomo discusso e discutibile, un uomo che aveva servito fedelmente
l'ideale del Tempio e da questo (o dai suoi uomini) era stato tradito,
un uomo che, addestrato a combattere, aveva fatto del combattimento
la sua ragione di vita ma, trasformato il suo ideale nella ricerca
del potere, ne aveva anche subito la naturale conseguenza.
© Enzo Valentini per Edizioni Penne & Papiri
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