"MATER NAZARENA" S.S.M.O.M.D.T. 


 

 

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Nel nome della Materdomini
fondazioni ospitaliere medievali nell'agro nocerino-sarnese in Campania

di Orazio Ferrara

Si devono agli studi dello storico nocerino Michele De Santi , che agli inizi del Novecento consultò le pergamene dell'archivio del monastero di Materdomini, le notizie sulle fondazioni ospitaliere, nell'agro nocerino-sarnese, dell'Ordine dei Monaci Bianchi, ramo autonomo della più grande famiglia dei Frati Umiliati. Quest'Ordine e l'Abazia di Materdomini, in cui esso è insediato e dove si venera una pittura bizantineggiante di Madonna col Bambino detta dal popolo la Sacra Cona, vengono fondati dal milite Pietro Ferrara de Regina, che ne è anche 1° Abate generale .

Nel tempo basso-medievale il minuscolo Ordine dei Monaci Bianchi riuscirà a gestire ben tre ospedali nell'agro nocerino-sarnese, ed è per questo che esso può essere considerato a tutti gli effetti un vero e proprio ordine ospitaliero. Dei predetti tre ospedali solo per uno, quello di Materdomini, si può però parlare di vera e propria fondazione, mentre per gli altri due, quello di Palma Campania e quello di San Giorgio, quest'ultimo di epoca molto più tarda rispetto agli altri due, si deve parlare di una rifondazione. Infatti, come vedremo, gli stessi pervengono all'Ordine a seguito donazione dei dominus di quelle universitas, i quali intendono così risollevare le sorti dei loro ospedali, avviati ad una fatale decadenza.

Nei primi decenni del 1200, la gestione ospitaliera deve essere stata cosa assai gravosa per i Monaci Bianchi, con i due ospedali di Materdomini e di Palma (quello di San Giorgio, come accennato, verrà più tardi, agli inizi del 1300), ubicati lungo l'unica importante arteria, che da Capua porta a Salerno e quindi nel sud d'Italia e che proprio nei pressi di Materdomini, ha una diramazione che conduce ad Avellino, poi Benevento e quindi in Puglia ai porti d'imbarco per la Terrasanta. In quel tempo il flusso di pellegrini e crociati è numeroso e continuo in quello strategico tratto di strada, che attraversa l'agro nocerino-sarnese. A dare una mano ai pellegrini più bisognosi e malati soltanto i Monaci Bianchi e i francesi Cavalieri di Sant'Antonio Abate, quest'ultimi hanno una loro Commanderie con ospitale-hospitium alla porta orientale della città di Sarno, la cui fondazione, risalente alla seconda metà del XII secolo, è quindi ancora più antica dell'analoga istituzione sanitaria di Materdomini . Lo sforzo di questi frati ospitalieri, in termini economici ed organizzativi, è davvero cosa di non poco conto, basti pensare che la vicina, potente e già ricchissima Abazia dei Benedettini di Cava procederà alla fondazione di un proprio ospedale soltanto nell'anno 1262.

E' l'arcivescovo di Salerno, Romualdo II della nobile famiglia salernitana dei Guarna, con la bolla "Ex debito pastoralis officii", emanata il 9 novembre 1172, a riconoscere ufficialmente il nuovo ordine monastico di Pietro Ferrara e a sottometterlo all'osservanza della Regola di San Benedetto . Per alcuni cronisti del Santuario è un successore di Guarna, Cesario vescovo, a confermare nell'anno 1175 la regola benedettina e a prescrivere che i frati indossassero "le lane virginiane", cioè l'abito bianco simile a quello dei monaci di Montevergine, da qui l'appellativo del popolo di Monaci Bianchi, e che noi useremo nel presente lavoro per comodità di linguaggio.

L'Abazia di Materdomini diviene ben presto uno dei santuari più famosi e visitati dell'Italia meridionale. Tra i pellegrini si contano papi, re ed imperatori. Innumerevoli le donazioni nel corso degli anni. Particolarmente munifiche quelle concesse dal re Guglielmo II il Buono nel 1178 e dall'imperatore Federico II, lo stupor mundi, nel 1220 .

La vocazione ospitaliera dei Monaci Bianchi dovette essere presente fin dagli inizi, osservando quei frati scrupolosamente quel passo della Regola, in cui San Benedetto, aveva disposto la cura sollecita "infirmorum, infantum, hospitum pauperumque". In un primo momento per soddisfare queste incombenze, ci si avvaleva dell'officium infirmarie, collocato forse all'interno del monastero ed affidato ad un monaco appellato per questo "Custos". Abbiamo conferma dell'esistenza di questa figura da una carta del 1226, come riporta il De Santi. Questa carta risale al tempo in cui è Abate di Materdomini quel Pietro, secondo di questo nome e la cui intelligente operosità per una sempre maggior grandezza dell'Ordine lo avvicina a quella del primo Pietro il fondatore, tanto che l'imperatore Federico II nel citato diploma del 1220, ne decanta "honestatem celebrem vitam et religionem" e lo dice "venerabilis abatis". Affianca questo Abate Pietro II con le funzioni di Priore, al quale sono affidate l'amministrazione e la disciplina del monastero, un certo Giovanni, che è detto anche "custos infirmarie monasterii" .

Negli anni immediatamente successivi al 1190, si sparge la voce che l'imperatore Arrigo VI di Hohenstafen, affetto da lebbra o da una particolare forma di peste, sia stato guarito dalla sua infermità durante una sua visita al Santuario di Materdomini. Leggenda, miracolo della Sacra Cona o unguenti medicamentosi preparati dalle abili mani dei monaci? Non lo sapremo mai. Però basta questa voce a far sì che molti accorrano nel Santuario, che si è rivelato non solo porto di salvezza per l'anima, ma anche per il corpo.

Con l'andare del tempo il piccolo officium infirmarie del monastero non riesce però a far fronte, in modo soddisfacente, alla moltitudine di malati e di poveri, che si presentano di continuo, imploranti aiuto, alla porta dell'Abazia.

E' il 4° Abate dei Monaci Bianchi, Silvestre, che regge con mani ferme le sorti della comunità monastica dal 1191 al 1213 e che è detto, nelle carte di quel periodo, "Sacerdos Monachus et Abbas Sancte Marie Matris Domini in Pede Rocce Apomontis", ad addivenire alla decisione di procedere alla fondazione, in Materdomini, di un ospitale, che sia nel contempo, come è nella prassi dell'epoca, anche hospitium per i pellegrini.

Dunque, nell'anno Domini 1208, egli emette l'editto di fondazione dell'ospedale, vincolando, per il suo funzionamento, tutte le rendite e i proventi dei beni e dei censi appartenenti alla chiesa di San Giacomo in Montoro . Questa chiesa e i suoi cospicui benefici erano pervenuti all'Abazia di Materdomini nell'anno 1192, a seguito di una  donazione dei fratelli de Avella. Ben presto divenuta Grancia, essa godeva delle rendite di molte proprietà, non solo in Montoro, ma anche in San Severino e dintorni, e in particolare in località Piazza di Pandola.

La persistenza dell'ospitale in Materdomini è attestata per oltre due secoli, e dura fin quando sono presenti dei Monaci Bianchi. Ancora  nel 1380 si hanno lasciti di grosse somme all'Abazia "pro beneficio Hospitalis favendo".

E' credibile la tradizione che vuole i monaci di Materdomini tenere in perfetta efficienza il loro ospedale, se nell'anno 1236 il barone di Palma Campania, il milite Guglielmo de Castellone o Castiglione, si decide a donare ad essi la chiesa e l'ospedale di Santa Maria a Piè di Palma, con tutte le relative pingue rendite . La donazione è fatta appunto per risollevare le sorti di quell'ospedale, affidandolo a gente che si è rivelata esperta nelle cose sanitarie.

Intorno all'anno 1310 Berardo de Sangiorgio, dominus di San Giorgio e Casali, di Deliceto ed altri feudi, nell'istituire suoi eredi la moglie Maddalena de Aquila e il figlio Berarduccio, ordina a quest'ultimi di procedere alla fondazione di un ospedale nella Terra di San Giorgio, esattamente nel suo compreso di case site nel luogo detto "a la Barra". Dispone, altresì, a favore dei Monaci Bianchi di Materdomini, col vincolo di collaborare al funzionamento del suddetto ospedale, la rendita annua di dieci once d'oro, da prelevarsi dalle entrate dei suoi beni in San Giorgio.

Ma già nel tempo medievale tenere in efficienza un ospedale doveva essere cosa alquanto difficoltosa e dispendiosa, d'altronde tutto poi era reso più complicato dalla presenza di una co-gestione suddivisa tra la corte baronale e i monaci. Così che, appena quattordici anni dopo, nell'anno 1314 donna Maddalena de Aquila, ormai vedova di Berardo de Sangiorgio, le cui spoglie mortali riposano per suo espresso desiderio nell'Abazia di Materdomini, procede, davanti al notaio Nicola Sutore e al giudice annale Giovanni Sforciato, ad una definitiva sistemazione a riguardo dell'ospedale. Sono presenti, quali testimoni, diversi nobili, tra cui i baroni Nicola e Guglielmo Budetta da San Severino e il barone Guglielmo Pagano.

Nell'atto donna Maddalena dichiara che non solo ha eseguito le volontà del marito, barone Bernardo, istituendo l'ospedale "a la Barra", ma ne ha anche accresciute le dotazioni economiche, previste in un primo tempo, con l'assegnargli i seguenti altri beni: due terreni con case sempre "a la Barra", confinanti con le proprietà degli eredi del nobile Gentile Dallimanno, e molti altri terreni ubicati a Torello, a Piedimonte, a "Pecia de Fore", a San Salvatore, "a lo Tergine", "a li Costabili", "a la Sala", "a Sant'Eustasio", "a la Chiusa", a San Felice, "a lu Plesco". Aggiunge poi che per la devozione, che porta alla Sacra Cona di Materdomini, è venuta nella seguente determinazione. Dopo aver ottenuto il consenso del figlio, barone Berarduccio, e l'assenso, tramite regie lettere, del Logoteta del Regno di Sicilia, Bartolomeo de Capua, per quanto riguarda l'alienazione di diritti e proventi feudali, decide di donare, come in effetti dona, l'ospedale con tutti i beni sopra descritti e gli interi diritti e proventi del feudo di San Giorgio all'Abazia di Materdomini, affinché i Monaci Bianchi custodiscano l'ospedale ed assistano i malati e i poveri. L'unica condizione posta è che l'abate protempore di Materdomini, in segno di riconoscenza di questa donazione, porti l'annuo tributo di due libbre di cera alla corte baronale di San Giorgio nel giorno "Purificationis Beate Marie" .

In quel torno di tempo è alla guida di Materdomini Matteo (dal 1300 al 1316), 9° nella cronotassi degli Abati Bianchi.

Successivamente i monaci, adiacente all'ospedale di San Giorgio, edificarono la chiesa di Santa Maria alla Barra ed un piccolo monastero. L'intero complesso ospitaliero diventò quindi Grancia dell'Abazia di Materdomini.

Nella scia della lunga tradizione di assistenza ai più bisognosi, con cui si distingue per tutto il basso Medioevo l'Abazia di Materdomini, è da collocarsi anche la fondazione in quest'ultima di una Fratancia (confraternita di laici) detta di Sante Marie Candelarum. Una pergamena dell'anno 1296 ci conferma che la sua esistenza risale già a diverso tempo prima, pertanto essa è una delle più antiche confraternite laicali di tutta Italia, forse coeva a quelle romane .

Sigillo dell'Abazia di Materdomini e quindi dell'Ordine e di conseguenza anche dell'Ospedale, fu sempre la figura della Madonna in maestà, cioè coronata e seduta sul trono, con in braccio il Bambino. La conferma si ha da un sigillo, descritto dal De Santi, che lo ha osservato ancora integro su un diploma di donazione del 1298 .

Il sigillo, in cera nera, è di forma ovale ed ha ambedue i lati incisi. Dal lato principale (sigillo dell'Abazia) è raffigurata la Santa Vergine in trono, che regge con il braccio sinistro il Bambino seduto sulle ginocchia, il quale si aggrappa al seno con la mano destra. A destra del trono è raffigurato un giglio. Tutt'intorno la scritta: S. Marie Matris Domini.

L'altro lato (sigillo dell'abate pro-tempore) si presenta con il campo partito. Nella parte superiore vi è il busto della Madonna coronata e cinta di aureola, che regge il Bambino; nella parte inferiore un abate inginocchiato con mitria e pastorale ed un libro aperto fra le mani. Circonda l'intero campo la scritta: Iohis Abbatis siggillum. La scritta ci dice che si tratta del sigillo di fra Giovanni, 8° nella cronotassi degli abati e 2° di questo nome, che regge la comunità monastica di Materdomini dal 1258 al 1299.

 

 

Note biografiche di Orazio Ferrara

Orazio Ferrara, nato a Pantelleria (1948), vive a Sarno in provincia di Salerno. Scrittore e saggista, ha pubblicato i volumi Parole sudiste, d'amore e altre ancora (1978), Storie Sarnesi (1993), Paputi un mito antico (1994), Arcaiche radici e diafane presenze (1995), Un capitano d'industria nella Valle del Sarno (1995), Il mito negato (1996), Sarno guida alla città (1996, con altri autori), Viva 'o Rre. Episodi dimenticati della borbonica guerra per bande (1997, vincitore 2° posto saggistica politica del Premio Internazionale Letterario Tito Casini di Firenze Ed. 1997), Il Celeste Patrono della Gente di Mare.  San Francesco da Paola (1997), L'antica terra murata della città di Sarno: San Matteo (1998), I Signori del mare. Appunti per una storia delle antiche marinerie (1998), Un ragazzo di piazza Croce. Contributo per un processo di beatificazione (2003), La Madonna delle Tre Corone.  Celeste Patrona della Nobilissima città di Sarno (2007).

E' redattore dei periodici locali La Voce ed Eventi, collabora a diverse riviste a diffusione nazionale, tra cui L'Alfiere, Storia del Novecento, Eserciti nella Storia e la bilingue Santini & Similia. Molti siti internet di storia pubblicano suoi articoli e contributi.

Dirige il Centro Studi di Storia, Archeologia e Araldica I Diòscuri.

 

 

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